Anche la letteratura italiana si può leggere in dialetto barese Giornaledipuglia.com 25 febbraio 2019
Qualche anno fa, Felice Alloggio, commediografo, scrittore, autore di prose, poesie e commedie in italiano e dialetto barese, si è cimentato in uno straordinario lavoro, quello di pubblicare
«La Letteratura italiana in dialètte barèse» (Wip Edizioni), tradotto appunto in dialetto barese, finalizzato a divulgare sia la letteratura classica, sia il dialetto barese.
“Dialetto non è una parola di cui vergognarsi, è una lingua parlata locale, una lingua senza potere economico-politico-militare, ma con una dignità, una civiltà, una cultura e, per chi lo ha appreso come prima lingua, il senso profondo dell’esistenza e degli affetti più cari.
Sia pure per cogliere ogni particolare del proprio dialetto – di cui si sente evidentemente l’importanza – i suoi cultori tendono però a dargli un alfabeto così innovativo che, quand’anche esprima tutta la loro creatività, non sempre giova alla lettura, specialmente se ricco di segni diacritici, che rischiano di svilire il potere ancestrale della parola, perché la lingua madre – madre delle lingue – per sua natura è coerente e fluida come il latte”
(Francesco Granatiero).
La letteratura, com’è noto, rappresenta l’insieme delle opere di valore artistico affidata alla scrittura (e talvolta alla parola orale), in prosa e in versi e si divide in antica, classica e moderna.
Nel nostro caso, i più interessati sono i baresi, ma la curiosità investe anche qualche cultore della nostra Baresità e, perché no, anche gli “addetti ai lavori” nel campo della letteratura italiana o della linguistica.
Nel suo lavoro Alloggio ricorda molti autori, da Dante a Leopardi, da Boccaccio a Pirandello, da Leonardo Da Vinci a Giuseppe Ungaretti, da Francesco d’Assisi a Edmondo De Amicis, ma si leggono anche traduzioni di poeti moderni e contemporanei come Gabriele D’Annunzio, Pier Paolo Pasolini, Alda Merini, Salvatore Quasimodo e tanti altri. Se ne contano oltre cento con una o più opere che si leggono piacevolmente nella nostra prima lingua con i relativi commenti dell’autore.
Molti scrittori e poeti dialettali si sono cimentati a tradurre nella nostra prima lingua importanti e conosciute opere letterarie di scrittori sia italiani che stranieri. Tra le tante opere, quella più nota è “La Divina Commedia” di Dante Alighieri, tradotta da Gaetano Savelli in tre volumi, alla quale seguono altre opere non meno importanti come “La uerre di Troia” (Unione Tipografica), tradotta da Giovanni Panza; “La Fèmmena qualùngue” (Scèche-Spirre Guglièlme veldàte a la barèse e ’mbregghiàte da Vite Carofìglie, di Vito Carofiglio (Edizioni dal Sud); “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese” di Augusto Carbonara (Wip Edizioni); “Pregáme alla barése”, del sottoscritto in collaborazione con Rosa Lettini Triggiani (Levante Editori) e, ultimo in ordine di tempo, “U Vangèle chendate da le quatte vangeliste Matté, Marche, Luche, Giuanne” di Luigi Canonico (Stampa Pressup - Roma). Inutile dire che leggere questi testi nel nostro dialetto è di una delizia impareggiabile, considerando che le versioni italiane non fanno rivivere le stesse emozioni.
Inutile dire che leggere questi testi nel nostro dialetto è di una delizia impareggiabile, considerando che le versioni italiane non fanno rivivere le stesse emozioni.
«Il dialetto letterario - scrive Vito Carofiglio nell’introduzione de “La fèmmena qualùngue” – è sia un valore in sé sia un valore relazionale: è un valore in sé, in quanto esso può funzionare autonomamente nella sua comunicatività ed espressività; è un valore relazionale, in quanto prende senso e coloritura in rapporto alla lingua-cultura nazionale, in confronto con questa».
Felice Alloggio ha contribuito a valorizzare la cultura e il dialetto con una serie di traduzioni di brani, noti e meno noti, di tantissimi autori: da Dante Alighieri a Francesco d’Assisi, da Niccolò Machiavelli a Francesco Petrarca, a Leonardo da Vinci, a Monsignor Giovanni della Casa, a Ludovico Ariosto, a Michelangelo Buonarroti, ad Alessandro Manzoni, a Vittorio Alfieri e tanti altri, partendo dai primi documenti in volgare per finire alla letteratura e poesia dagli anni ’50 ai giorni nostri, attraverso le varie epoche letterarie (lirica italiana del duecento, la scuola poetica siciliana e toscana, la poesia ‘comica’ e scherzosa, il trecento ed i trecentisti, l’umanesimo, il teatro durante il rinascimento, il melodramma, il romanzo e le idee romantiche in Italia, le poetesse fra fine ’800 e prima metà del ’900 e molti altri periodi storici senza dimenticare neanche la letteratura per ragazzi, il teatro ed il romanzo italiano del secondo novecento, per finire, come detto, ai giorni nostri con autori del calibro di Alfonso Gatto, Vittorio Bodini, Gianni Rodari, Alda Merini, Erri De Luca, Natalia Ginzburg, Edoardo Sanguineti, Dario Bellezza, Serena Maffia ed altri.
L’autore, che scrive racconti, saggi e commedie in lingua e in dialetto barese, è convinto che quest’ultimo rafforzi la comunicazione fra individui con effetto facilitante e rendendo più ricco e comprensivo il messaggio.
Per quanto riguarda la scrittura dialettale, l’autore precisa nell’introduzione che «nella consapevolezza dell’assenza a tutt’oggi di una grammatica dialettale barese ufficialmente codificata […] ho cercato, attraverso l’ascolto del dialetto da parte dei baresi, e attraverso lo studio dei cosiddetti Padri del dialetto barese, di proporre una scrittura semplice ed il più possibile comprensibile».
E, per darvi un assaggio del lavoro di Alloggio riporto una poesia di Aldo Palazzeschi (1885-1974) ripresa da “Poemi”.
“La lireche rappresènde n’autoretràtte in negative de l’autòre, Jìdde non rièsce chiù a scrive “pausì serie” e, come oramà tutte le poète europè assiste
a cudde procèsse de progressiva corrosiòne de la fegùre du poète”.
Ce so jì?
Ce so jì?
so forse nu poète?
assolutamènde no.
Oramà la penna de l’anema mè
scrive sole na paròla strane:
pazzì.
Ma allore so nu pettòre?
Nemmène.
Oramà la tavelòzza mè
tene sole nu chelòre:
malengonì.
So nu musecìste?
Nemmène.
Oramà jìnde alla tastìra mè
sta solamènde na note:
nostalgì.
Ma allore ce sò jì?
Me mètteche na lende
nanze o core
pe fàue vedè alla gende.
Ce sò jì?
Iune ca scherze che la vita sò.
Mariella Castoro, docente di letteratura italiana, che firma la prefazione, scrive che “Questo libro farà piacere a chi lamenta che vi sia una ‘letteratura italiana’ e non ‘la letteratura degli italiani’. In realtà anche la lingua letteraria dalle origini e via via fino a noi si è costituita sul fiorentino, un dialetto divenuto lingua nazionale. Felice Alloggio si propone di colmare il distacco usando l’idioma barese che ha contribuito con gli altri ad apportare linfa alla lingua italiana”.
Non si può che complimentarsi ancora una volta con Felice Alloggio per le sue iniziative a favore della cultura, ma soprattutto a favore del dialetto barese che meriterebbe da parte degli autori molta più attenzione oltre che la rinuncia all’ardente desiderio di primogenitura di certe regole. Solo così facendo si riuscirebbe una volta per tutte a realizzare una grammatica accettabile e condivisibile da tutti.
La copertina è di Federico Cardanobile.