vittorio polito
giornalista pubblicista scrittore
Vai ai contenuti
Il dialetto? Oltre ad essere importante è anche salutare   Giornaledipuglia.com 16 gennaio 2016

Com’è noto il dialetto è una lingua che può essere parificata ad ogni altro idioma ufficiale che, ancor prima di essere tale, è stata un dialetto: solo eventi storici, economici e politici ne hanno determinato la secondarietà.
«Il termine dialetto – secondo Carla Marcato – è un cultismo nella tradizione linguistica italiana; le sue remote origini risalgono al greco diálecktos che significa dapprima ‘colloquio, conversazione’ poi anche ‘lingua di un determinato popolo’; passato al latino, nelle forme dialectos (alla greca) o dialectus, il vocabolo indica ‘parlata locale assunta a importanza letteraria’.»
Allo stesso prof. Vignuzzi è stata posta la seguente domanda: “I dialetti italiani sono patrimonio della nostra cultura, pensa che siano debitamente tutelati dalle nostre istituzioni?”.Egli ha così risposto: «Il problema è cosa significa tutela. Io sono contrarissimo all’insegnamento dei dialetti, in quanto il dialetto è qualcosa di fluido. Se noi lo insegniamo corriamo due rischi: il primo è di ucciderlo. Tutto quello che fa la scuola dà fastidio ai ragazzi: se c’è un testo che è bellissimo da leggere sono i “Promessi Sposi”, che il 99 per cento degli italiani odia proprio per averlo dovuto studiare a scuola.
Secondo: se noi dobbiamo insegnare un dialetto, dobbiamo per forza insegnare un dialetto “colto”, dove per esempio certe oscillazioni non possono essere accettate, a meno che non si mettano tutte ma questo diventerebbe un modello impossibile. Gli stessi dialettofoni si accorgerebbero che neanche la loro dialettalità è valida, perché quella che la scuola insegna è un’altra. Perché il dialetto non è soltanto una varietà linguistica ma un’interpretazione della realtà: un’interpretazione molto amichevole, calda, ma anche “rozza”, il vero dialetto parlato può lasciare perplessi. Si pensi che il vero saluto di un romano in romanesco è: “Che te possa’ pijà un colpo, quanto stai bene!”.
Questo sulla bocca di Fabrizi o di Verdone può star bene ma io non posso certo insegnarlo. Andrebbe insegnato quindi il vero dialetto e non una forma ibrida che è un italiano dialettizzato. Meglio insegnare cultura dialettale: insegnare ai giovani di un territorio dai racconti degli anziani in dialetto come si viveva, i proverbi, le tradizioni che hanno un plusvalore come quelle gastronomiche, artigiane.»

Il dialetto, quindi, va usato nel quotidiano, insegnato ai nostri figli, non a scuola, ma nell’ambito famigliare attraverso lezioni e letture per i giovani, poiché a scuola è anche difficoltoso insegnare un vernacolo ad alunni provenienti da varie estrazioni linguistiche oggi anche da varie etnie ed anche da parte di insegnanti di diverse provenienze.
Il dialetto rappresenta la lingua degli affetti ovvero di tutto quanto attiene ad una località e non ad un’altra. Il dialetto è anche quel cordone ombelicale che lega generazioni di persone alla propria origine e da cui trae linfa vitale.
Insomma il dialetto rappresenta il DNA della nostra identità attraverso il quale siamo collocati in un posto preciso della nostra storia personale.

L’importanza del dialetto, sta nel fatto che è vicinissimo alla vita quotidiana e rappresenta una diversità di radici storiche, di culture, di esperienze umane che non deve in nessun modo essere disattesa. Il dialetto identifica fatti, luoghi, episodi, storia e tradizioni di un popolo. Insegnarlo ai nostri figli significa renderli eredi di una grande ricchezza che durerà nei secoli.
Il dialetto è come un codice identificativo conosciuto solo da chi appartiene alla zona d’origine, i quali lo parlano bene e ne comprendono i significati e le sfumature. In questo senso chi parla un dialetto si auto-identifica col territorio, rafforzando così il legame culturale con la tradizione.
Da sottolineare l’aspetto importantissimo che ha l’apprendimento del dialetto e dell’italiano fin dall’infanzia, poiché quando si renderà necessario studiare un’altra lingua, la mente sarà già predisposta al bilinguismo e quindi l’apprendimento sarà facilitato.

Secondo una ricerca della York University di Toronto, infine, pare che il bilinguismo abbia anche un effetto benefico sul nostro cervello. Infatti è stato dimostrato che le persone che nel corso della loro vita parlano fluentemente e correntemente due lingue hanno addirittura una maggiore probabilità di ritardare di alcuni anni l’eventuale insorgenza di certe forme di demenza senile come il morbo di Alzheimer.
Quindi, dal momento che il dialetto è anche salutare, vi è un motivo in più per tenerne viva la fiamma, poiché, oltre a rappresentare unpatrimonio culturale accumulato nei secoli, è la nostra madre lingua. Un condensato di storia, di saggezza popolare, di fede e di tradizione. È nostro dovere custodirlo.
E per restare in tema riporto una poesia di Giovanni Panza (1916-1994) sull’argomento.
Dialette di Giovanni Panza       L’amore per il linguaggio avito con il quale si possono  esprimere anche i più riposti sentimenti
Percèscrìveche ’ndialètte?
Pe prisce e pe dilette;
acquannetenghe da chendà
ccoseviicchie da recherdà
jind’occoretannesenghe
tutte le ccosecatenghe:
recuerde a mè chiù ccare,
bedde cose, patem’amare;
la passata giovendùte
le speranze cassò perdute,
l’amoregranne pe le figghie,
lamalingonìca me pigghie.
acquannepenzeca non ghiù
chemèstonne; canù e dù
remanute sime a nvecchià
p’aspettà de scirneddà.
Quanne le penziiere brutte
e la mende mènene tutte
e me vòleneassagrà
e me fàscene male assà
sop’a la carte me mètteche
etanne me permètteche
dechendarte le fessarì
come u sàcceche fa ji.
Torna ai contenuti