Il dialetto a scuola? Una inezia pubblicato su: www.giornaledipuglia.com

Ed i linguisti che dicono? Luca Serianni, professore ordinario di storia della lingua italiana, è del parere che «Si tratta di una strada non percorribile: si può insegnare una lingua, ma non un dialetto, che non ha alcuna omogeneità. Persino in regioni come il Veneto e la Campania, regioni con una forte connotazione dialettale, non ce n’è uno che si sia imposto. Il poeta Raffaello Baldini diceva che “In dialetto si può parlare con Dio, non si può parlare di Dio”, un ambito, quindi solo familiare e affettivo». Ugo Vignuzzi, professore ordinario di Linguistica Italiana all’Università, sostiene che «I dialetti sono oggetti storici diversi in ogni area culturale, abbiamo tanti dialetti quante aree culturali. Se questo è vero per l’Europa (per esempio in Svizzera c’è un dialetto per ogni cantone), nella tradizione storico-culturale italiana la situazione è differente e più complessa poiché i dialetti si presentano come “lingue delle identità locali” (cfr, E. della Loggia). Da qui nasce un problema sia pratico che teorico. Il problema pratico è che in Italia ci sono circa 10.000 dialetti, se colleghiamo, come la nostra storia impone, identità locali e “comuni”. Il problema teorico è la differenza semantica tra lingua (quella che si può apprendere a scuola) e dialetto che essendo viva e spontanea espressione non formale del parlante è quasi impossibile da insegnare». Matteo Motolese, professore associato di Linguistica italiana all’Università “La Sapienza” di Roma, è del parere che poiché «Nel 2011 si festeggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia: in tale contesto non appare contraddittorio cercare di fare emergere le differenze e i particolarismi regionali, tramite lo studio dei dialetti, invece di trovare un modo per rendere sempre più agevole, tramite la cultura comune, la comunicazione tra italiani e stranieri? C’è una contraddizione

evidente, che infatti affiora quotidianamente sulle pagine dei giornali. Sinceramente, ho comunque dei dubbi sul fatto che le tendenze al localismo della Lega, o di altre forze politiche, possano realmente incidere sul lungo periodo. O almeno così mi auguro. Mi pare che si tratti soprattutto di una volontà di essere visibili, di parlare al proprio popolo, di sollecitarne le paure. In ogni caso, non avrei dubbi sul fatto che la scuola italiana abbia maggior bisogno di guardare fuori, all’Europa, che non ai suoi particolarismi». A Bari qualcuno ha tentato di istituire dei corsi di dialetto, nell’ambito di Associazioni o Università della Terza Età, con il risultato che sono state frequentate da un insignificante numero di persone diluitesi nel tempo, prova evidente della inutilità dell’insegnamento e del disinteresse a tale tipo di studio. Pertanto è senz’altro utile tramandare ai posteri quello che siamo stati e che siamo ed i dialetti possono rappresentare quindi una grande risorsa ma solo per attingere ad essi durante le ore scolastiche per innervare l’italiano e per salvare le nostre tradizioni ma certamente non come materia di studio a scuola.